
Caro Gerardo,
quest'oggi doppia razione. Subitemi!
Desidero raccontare di ieri, domenica 06 febbraio, giorno del pellegrinaggio presso il Santuario della Vergine di Guadalupe. L'aspettavo con impazienza. Temevo che saltasse a causa della pandemia, che in Messico è ancora robusta. Ma, per fortuna, il clima in "Casa Lago" - nonostante la presenza di positivi al virus - è stato fin da subito realista e sereno: il covid c'è, dobbiamo essere prudenti e rispettare le regole, ma non rinunciamo a vivere.
Per cui le giornate domenicali sono state dedicate a interessanti visite delle quali vi ho riferito. E questa è l'ultima, la più importante.
Vado alla cronaca.
Partenza alle 7. Solita divisione VIP/peones. Prima tappa del programma: la visita alla parrocchia del "Sacro Cuore di Gesù e di Nostra Signora di S. Giovanni dei Laghi", chiamata da tutti "Comunità di Progreso Nacional" (il nome del quartiere). Si tratta di una parrocchia servita dai Padri Scolopi dal 1958. Il Complesso è piccolo, rispetto agli standard europei: una chiesa a forma di tenda canadese, un saloncino, un cortile, angusti uffici parrocchiali. Eppure spalanca le porte a una comunità cristiana che, si calcola a spanne, è formata da 60mila persone. Incredibile! Ma anche comprensibile: Città del Messico è una megalopoli formata da una popolazione di più di 20 milioni di abitanti. Le dimensioni delle parrocchie non possono certo essere da meno.
L'accoglienza è sempre nella forma deflagrante della batteria di fuochi d'artificio: comitato di ricevimento, atto di ringraziamento in chiesa, cori accompagnati da strumenti musicali, testimonianze e presentazioni di rito.
E questo è solo l'antipasto.
Veniamo invitati a spostarci in salone, dove è stato preparato un piccolo rinfresco e, per il piacere dei fotografi, un "altare dei morti". Si tratta di una tradizione religiosa e culturale del popolo messicano - ricostruita con tanta bellezza e fantasia nel film d'animazione "Coco" - che rende omaggio ai defunti, in occasione dei giorni 1 e 2 novembre (il giorno 1 si ricordano i bambini, il giorno 2 gli adulti); e ciò avviene preparando altarini nelle abitazioni, sui quali si dispongono i cibi preferiti dai defunti che i loro cari desiderano ricordare.
Veniamo rifocillati da premurose signore e poi veniamo intrattenuti, in cortile, da ben due orchestre folkloristiche, che quasi si sfidano in bravura. Tutto si risolve in un ballo collettivo: le brave parrocchiane ci acchiappano e ci trascinano nel ballo. Plantigradi, bradipi, gorilla: quando noi allegri Scolopi balliamo saremmo tutti o da deportare o da postare su tiktok. Buon per le signore che si trattava di ritmi tranquilli e non di "salsa" scatenata: ne avremmo ammazzata qualcuna!
Sono talmente carini che, in conclusione, ci fanno dono di sacchettini di popcorn e di dolciumi. Che buffo! Pensavo: magari sgranocchio i popcorn durante l'omelia...
Scusami, ogni tanto mi lascio andare!
Alle 10 siamo fuori da "Progreso Nacional" - che si trova non lontano dal colle del Tepeyac, luogo dell'apparizione - e risaliamo in pullman, dopo aver attraversato un degli innumerevoli mercatini che si raccolgono in città la domenica mattina.
Che umanità incredibile. Commerci minutissimi, dalla frutta ai dolci alla cucina di strada più sospetta. Musica, colori, cani, vecchie automobili, cavi elettrici che penzolano ovunque, odori pungenti, stridio di merli dalla coda lunga, donne dietro i vetri delle finestre. Non faccio in tempo a dirigere lo sguardo che vengo investito da un profluvio di immagini. Il Messico è troppo, non ce la fai a stargli dietro.
L'antipasto, come dicevo.
Il banchetto, il più lauto mai conosciuto, è stato apparecchiato a una mezz'oretta di strada dalla parrocchia. A CDMX (Ciudad de México), le distanze si misurano in decine di chilometri e in tempi biblici.
Giungiamo al Santuario, un recinto che racchiude un'area di proporzioni immense e preziosissima per la fede del popolo messicano (e non solo). Il tutto nel bel mezzo del caos e del traffico della città.
Esplodono subito, dinanzi a me, i colori, il frastuono, il caleidoscopio di volti e di merci che raggiungono i pellegrini che visitano il santuario. Sono stato a Lourdes, a Loreto, a san Giovanni Rotondo: ma qui è DI PIÙ'. Qui è troppo. Non si può descrivere. Qui vieni travolto subito e ti viene quasi paura.
Non è un caso che la sera precedente ci abbiano ammonito: non disperdetevi, non rimanete da soli, non vi attardate. Avevano ragione.
Ci sono migliaia e migliaia di persone. Volti "indio" e meticci, famiglie numerose, bambini infagottati e incollati ai petti delle madri. Bancarelle dappertutto, articoli religiosi, cibo, fotografi che invitano a mettersi in posa vicino a una statua della Guadalupana, magari in groppa a un asinello di plastica. Fiori, candele, anziane rugose, bambini vocianti, gente seduta ovunque. Mi fermo davanti a uno spettacolo: in piedi, collocato in una sorta di tribuna coperta, un prete benedice ad alta voce drappelli di pellegrini e li bagna con tanta di quell'acqua benedetta che neanche un idrante. Qualcuno procede in ginocchio. Imperversano i selfie, i fidanzatini abbracciati, i bambini che piangono per la stanchezza, i sandwiches consumati all'ombra delle mura dei templi.
Se volevo il Messico, eccolo.
Sono i giorni che seguono la festa della Presentazione di Gesù Bambino al Tempio. Le donne presentano i loro frugoli alla vergine. E molte di loro tengono tra le braccia bambolotti deliziosi del Bambin Gesù, perché vengano benedetti. Una tradizione di qui.
Noi allegri Scolopi, anarchici come sempre, ci spargiamo per l'intera area del Santuario. Non prima, però, d'essere entrati nell'edificio sacro di costruzione più recente e visitato per ben due volte da Giovanni Paolo II. Un tapis roulant (fantastico!) permette a tutti di scorrere sotto la "tilma" di Juan Diego ove è impressa l'immagine miracolosa della vergine Maria e così di non creare intasamenti. Leggevo che al moderno santuario hanno lavorato i quattro migliori architetti messicani. Si vede. La chiesa è bellissima. A forma di tenda, è realizzata con arte e con corretta conoscenza delle esigenze del culto cristiano: la forma circolare, il presbiterio rialzato, il loggione che sovrasta l'ingresso principale e che permette di celebrare la Messa di fronte ai pellegrini riuniti nel piazzale, la facilità di accesso, lo spazio... Perfetto. A differenza di altre chiese moderne e contemporanee, edificate da architetti che non sanno niente di rito cattolico e che celebrano solo loro stessi, qui tutto è pensato per fare sul serio. Per fare le cose in grande.
Devo sbrigarmi, lo so. Troppe chiacchiere.
Un drappello di noi visita il "Cerrito", il tempio edificato nel punto indicatogli dalla Vergine e dove l'indio Juan Diego raccolse le rose da portare al Vescovo Zumarraga. Il monumento dell'Ofrenda. Le fontane e i giardini. Il tempio del "Pocito", dove sgorgò una fonte d'acqua taumaturgica. Il santuario seicentesco chiuso per restauri e, infine, un salto al mercato. In una parte del recinto, ho saputo poi, si tenevano danze indigene in costumi precolombiani ma me le sono perse, accidenti.
Alle 11.30 tutti radunati per indossare le vesti liturgiche. Ci siamo dati appuntamento davanti all'ingresso principale del Santuario. Ci vestiamo in mezzo ai fedeli, i quali stanno seguendo la Messa celebrata dal loggione. Straordinario.
Alle 12 siamo dentro. quindici VIP sul presbiterio per concelebrare con il Cardinale, i peones in platea. Ma va bene così: di fronte a me domina la tilma, l'immagine della vergine. E me la godo.
E' tempo di smettere di guardare, di chiudere "la bocca" della curiosità e di tacere. sono al cospetto della Signora. E le sussurro che l'ho sempre amata tanto. Di tutte le apparizioni di Maria questa, per me, è sempre stata la più bella. Devo essere un po' messicano anch'io, sotto sotto.
Chiudo qui. Il resto della giornata è stato piacevole: il pranzo elegante in un albergo del centro città, la visita guidata a bordo di due bus turistici, l'urlo liberatorio all'annuncio della vittoria del Senegal in Coppa d'Africa, le "hola" a bordo, i cori e i "ciao" dai pullman a tutti i malcapitati che passeggiavano ignari (avete mai visto decine e decine di preti urlanti che vi fanno ciao con la manona dal tetto di un pullman a due piani? Immaginate le facce della gente), i rami degli alberi in faccia, perfino qualche goccia di pioggia.
Insomma, l'ultima domenica in uscita degli allegri Scolopi è stata un enorme "booom": il fuoco d'artificio più grosso che si potesse immaginare.
Alle 19.30 tutti a casa.
Che sia successo dopo cena non so dirvi: c'era il Senegal da festeggiare. Meglio che non abbia né visto né sentito e che quindi non sia in gradi di raccontare: roba che la "policia" viene e ci arresta tutti.
Oggi si torna ai remi, sigh,
Hasta luego.
a